Dendê ou Açaí: Il Brasile sceglie il suo futuro.

Dendê o Acaí: il Brasile al bivio dello sviluppo


Una bacca dà carburante, l’altra cibo: sono i simboli delle scelte per il futuro «Dopo il pepe, il cacao, la canna da zucchero e la gomma, questa è l’ennesima monocoltura capitalista che noi contadini dobbiamo subire» 

 Questa storia la racconteremo parlando di due bacche: una rosso cupo; l’altra viola, quasi nera. 
Una, il frutto del dendé, è coltivata industrialmente e il suo olio brucia come il gasolio. L’altra, la bacca dell’açai, cresce spontaneamente ed è un alimento tradizionale. 
Al bivio tra sviluppo sostenibile e collasso ambientale, questi due frutti rappresentano il simbolo di contraddizioni e opportunità che dovremo imparare a gestire. In lontananza, laggiù, si vede il margine della foresta. 
Da lì fino alla strada asfaltata che porta al paese di Igarapé-Mirí, nel nord del Brasile, ecco infinite e ordinate file di piante, alte mezzo metro; tra i filari il terreno è ) nudo, senza un filo d’erba. 
Sono piante di dendezeiro , la palma dendé, una pianta che nel Seicento ha fatto la traversata dall’Africa a qui a bordo delle navi negriere. 
È una coltura industriale: l’olio spremuto dalle bacche del dendé viene usato dall’industria alimentare. 
Ma oggi, in un mondo affamato di energia, si è scoperto che lo stesso olio diventa un ottimo e convenientissimo carburante. 
Edilson è un agricoltore, e come altre 280 famiglie della zona ha deciso di puntare tutto sul dendezeiro. 
PetroBio (una branca del gigante petrolifero statale PetroBras) si impegna ad acquistare a prezzo garantito tutta la sua produzione. 
Lui si è indebitato per 60 mila reals (circa 24 mila euro) attraverso una banca con il ProNaF, un fondo governativo che avrebbe l’obiettivo di sostenere l’agricoltura familiare. 
I soldi sono andati materialmente a PetroBio, che gli fornirà sementi e le attrezzature necessarie (comprese grandi quantità di diserbanti chimici) per coltivare la palma da biodiesel. 
La produzione verrà tutta acquistata da PetroBio, ma Edilson sulla sua terra non potrà coltivare nient’altro che il dendé, e per 25 anni. «Che potevo fare - ammette - per la nostra famiglia non c’erano alternative, vivevamo al limite. Con il dendé potremo contare su un reddito sicuro». «Il guaio - dice Didì, ovvero Raimundo Barreto de Moraes, capo del sindacato dei lavoratori rurali e sostenitore della battaglia del movimento “estrattivista” - è che questa coltivazione minaccia le tradizionali produzioni agricole destinate all’alimentazione. 
Dopo il ciclo del pepe, della gomma, del cacao, della canna da zucchero, dei pascoli, questa è l’ennesima monocoltura destinata all’esportazione che noi gente che vive della terra dobbiamo subire». 
Un’operazione «iper-capitalista» che secondo gli estrattivisti oltretutto mette a rischio la foresta amazzonica, polmone del pianeta e immenso (e unico) serbatoio di biodiversità del pianeta. «Noi siamo per l’agroecologia», aggiunge Leubaldo, il giovane presidente della cooperativa Caepim cui aderiscono 159 capifamiglia. 
Che vuol dire un’economia agroforestale avanzata, centrata sulla raccolta di piante ed essenze tipiche dell’ambiente amazzonico. Un’economia solidaria , dicono qui in Brasile, basata sul lavoro familiare, e costruita sulla collaborazione solidale e la partecipazione nelle decisioni. 
Siamo a Igarapé-Mirì, un municipio nello stato amazzonico del Pará, nell’area dominata dal corso del gigantesco fiume Tocantins. 
Sparsi in un’area sterminata, tra fiumi, isole, zone semi-sommerse, tratti di terreno irrimediabilmente deforestati e residue macchie di foresta «primaria» - vivono neanche 70 mila persone. 
Un paese poverissimo. Tanta miseria, dignitosa, ma anche tanta violenza: girare dopo il tramonto è da suicidi, ma sono pericolose anche le ore della siesta post-prandiale, in questa cittadina governata da un sindaco del Pt, il partito fondato da Lula. 
Qui, nella modesta sede del sindacato rurale, incontriamo i «nemici» della bacca rossa da petrolio. 
Più che altro, «amici» della bacca nera da mangiare, l’açaí. 
Questo frutto di un’altra palma, che cresce spontaneamente in grande quantità nelle aree semisommerse dall’onda di marea che risale i fiumi, da sempre è un prodotto base della dieta delle popolazioni locali. 
Che mangiano l’açaí con un cucchiaio accompagnando i pasti: ha un alto contenuto di grassi, vitamine e proteine. 
Loro lo adorano; diciamo che come sapore è un po’ lontano dal gusto di noi italiani. 
Proprio l’açai è al centro di un progetto realizzato nella regione del Baixo Tocantins da Oxfam Italia con il finanziamento dell’Unione Europea: gli operatori di Oxfam, coordinati da Alessandro Ugolini, lavorano con successo da qualche anno per far crescere le capacità produttive, organizzative, di trasformazione, di commercializzazione delle cooperative di raccoglitori e produttori di açai, e di tanti altri frutti tropicali ed essenze vegetali diffusissime nella zona. Presto nascerà anche una piccola fabbrica. 
Insomma, da isolati raccoglitori, a imprese «solidarie» organizzate e ben funzionanti su tutta la filiera e non su un’unica coltura, in grado di aiutare a preservare la biodiversità del Baixo Tocantins e di tutta l’Amazzonia. 
Loro, i diretti interessati, sono molto soddisfatti. Leubaldo della coop Caepim e Mailson della Codemi ricordano le radici politiche del movimento, che si è battuto per anni contro una realtà in cui pochi ricchi e potenti fazenderos costringevano contadini semi-schiavi a sopravvivere miseramente in un’economia senza moneta, dove il frutto di un lavoro durissimo veniva obbligatoriamente consumato a prezzi elevati negli spacci controllati dagli stessi padroni della terra. 
«Adesso le famiglie dei nostri soci - spiega Mailson - riescono a guadagnare 600-900 reals al mese (240-360 euro, ndr ) con questa attività». 
Quanto basta per trasformare la vita di una famiglia: una casa di mattoni, l’elettricità, un frigo, una barca per pescare. 
A sostenere il reddito di molti miriensi ci ha pensato anche il governo del Pt. Prima di Lula e oggi della nuova presidente Dilma Rousseff. 
Didi il sindacalista e Raimundo «o Velho» (il vecchio), assessore municipale, da smaliziati militanti, spiegano: «Nessun governo ha mai fatto nemmeno un terzo di quello che ha fatto per la gente Lula - dice orgogliosamente Didi-. Prima si moriva di fame e l'80 per cento della gente era in miseria. Ora è cambiato tutto». 
Dietro l’angolo, però, si profila una doppia minaccia: la diffusione del dendé, la palma da petrolio, e l’onnipresente tentativo della proprietà terriera e delle imprese interessate allo sfruttamento capitalistico classico di mettere le mani sulla terra. Il Brasile non ha un catasto. 
E così, conclude Didi, «spesso e volentieri dal nulla sbuca qualcuno con un pezzo di carta strano in mano, e dice che la terra dove vivono da anni le famiglie è di loro proprietà, e che se ne devono andare». 
Due minacce che non scompariranno purtroppo tanto presto. 
(Articolo di Roberto Giovannini)
Fonte: http://www3.lastampa.it/ambiente/sezioni/news/articolo/lstp/458749/

2 commenti:

  1. Mi sembra che la notizia è poco credibile, più una facile pubblicità che qualcosa legato alla realtà.

    Potrei anche pensare che si tratti di una cattiva traduzione dal portoghese o da qualche altra lingua.

    In realtà nel municipio di Igarapé-Mirí è mondialmente conosciuto come La Capitale Mondiale dell'Açaí, dato che in quel piccolo municipio si concentra la maggiore produzione mondiale dell'açaí.

    Nel Pará è previsto un centro di coltivazione di dendê, ma nei municipi di São Miguel do Guamá, Irituia, e Mãe do Rio.

    Nella regione già esistono altre piantagioni di dendê nei municipi Tailândia, Garrafão do Norte e São Domingos do Capim.

    Inoltre è falso che i coltivatori non potranno coltivar altro, infatti è normale, anzi consigliato, coltivare piante di cacao nelle file dei dendezeiro abbinate a leguminose, che proteggono il suolo dai raggi diretti del sole come si può vedere in questa piantagione http://goo.gl/UxvkG

    http://ilmosta.blogspot.com

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  2. Grazie Giancarlo per i chiarimenti e la testimonianza. Anche io credo che difficilmente abbandoneranno la coltivazione dell'"oro nero" principale fonte di reddito di quell'area. Ho riportato questa notizia perché solitamente la fonte è abbastanza credibile e possiede un inviato in Brasile ma come ben fai notare sono altre le aree in cui è previsto un centro di coltivazione di dendê.

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