Rio de Janeiro: l'altra faccia del Mondiale e delle Olimpiadi.

Dall'inizio dei lavori di preparazione ai mondiali di calcio e alle olimpiadi, rispettivamente nel 2014 e 2016 nella capitale carioca 8.000 cittadini hanno già perso la casa e probabilmente questo numero salirà prima del 2016 a 30.000.
Perchè tutto questo sta accadendo? Semplice per far posto alle strutture necessarie per ospitare i due eventi sportivi.
“ We Are the Legacy: the Story of Elisângela" è il primo di una serie di documentari prodotti dall'organizzazione per i diritti umani Witness, in collaborazione con il Comitato Olimpico e dei Mondiali di Rio 2014, che ha lo scopo di raccontare le storie dei cittadini colpiti dagli sgomberi forzati, direttamente o indirettamente collegati ai Mondiali di calcio e alle Olimpiadi. Priscila Neri di Witness sostiene che l'obiettivo è quello di presentare una alternativa alla versione ufficiale secondo cui ogni esproprio o sgombero sono stati e saranno fatti a norma di legge e attraverso un continuo dialogo e accordo con i membri della comunità.
Emblematico il caso di Elisângela: lei non era in casa quando le autorità, senza preavviso, sono arrivate con i mezzi demolitori sulla collina Pavão-Pavãozinho a Rio de Janeiro. Alla figlia diciassettenne che ha aperto la porta è stato detto che erano venuti a demolire la casa. In evidente agitazione, la ragazza ha immediatamente chiamato la madre: «Ci sono tanti uomini qui davanti, dicono che stanno per buttare giù tutto!».
Elisângela è tornata a casa di corsa, ha cercato di conversare con i funzionari, chiedendo un po' di tempo per trovare un'altra sistemazione, ma senza esito positivo alcuno. In poche ore, della loro abitazione rimanevano solo detriti. 
Il fatto risale ai primi mesi del 2011. Ad oggi, Elisângela non ha ricevuto alcun risarcimento e ancora meno una nuova casa. 
La figlia è andata a vivere con la nonna, mentre Elisângela è ancora alla ricerca di un posto dove abitare.
Lo sgombero forzato in questo caso è stato giustificato con la scusa che la casa era in una zona a rischio di Pavão-Pavãozinho, ma nella realtà dei fatti solo una parte delle case è stata distrutta e, a detta del Comitato locale, i detriti non sono ancora stati rimossi. 
La collina si trova tra due dei quartieri più prestigiosi della capitale: Ipanema e Copacabana. 
Stando al dossier pubblicato dal Comitato, la città ha intenzione di utilizzare i rischi geotecnici o strutturali come motivazione ufficiale per procedere allo sfratto di più di 300 famiglie della comunità Pavão-Pavãozinho: «Finora non è stata presentato alcuna relazione tecnica che fornisca la prova di questi rischi né è stata discussa con la comunità la possibilità di effettuare interventi infrastrutturali che garantiscano la sicurezza dei residenti». 
Alcuni ingegneri responsabili per i lavori hanno evidenziato che effettuando lavori di costruzione per contenere o rafforzare la pendenza, eliminando così il rischio di slittamento, costerebbe meno che trasferire gli abitanti "espropriati". 
Altro è il caso di Francisca de Pinho Melo che descrive il tentativo disperato di fermare la demolizione: «Ho visto il bulldozer sfondare il cancello. Ho provato a bloccargli la strada, ma uno degli uomini mi ha fermata. Rimanevo aggrappata alla catena, sperando che si fermassero e venissero a parlare con me e con gli altri residenti. Ma mia sorella e mia figlia urlavano, scongiurandomi di uscire. Sono andata a casa, ho afferrato una borsa con i documenti e sono corsa da mio fratello. Ero sotto shock, non riuscivo a smettere di piangere. Ma perché? Perché' distruggono le case di così tanta gente bisognosa?». 
Queste azioni risalgono al 2010, e fanno parte di un progetto per l'istallazione della Transoeste, una corsia preferenziale veloce per gli autobus. 
I residenti che sono stati risarciti raccontano di aver ricevuto compensi simbolici di scarso valore, mentre ai commercianti che hanno perso l'attività, nonostante il decreto ministeriale del 2011 N.20.454 stabilisca che, nel caso di perdita di un esercizio commerciale, "ne dovrebbe essere offerto uno nuovo, o un rimborso per l'acquisto di un'altra struttura soggetta agli stessi criteri di quelli stabiliti per edifici residenziali, come da progetti SMH" non è ancora stato rimborsato nulla.   
Francisca, che ha perso l'atelier di falegnameria in cui lavorava assieme al marito, alla figlia e ad altri due parenti afferma: «Lavoravo in negozio da sei o sette anni. Guadagnavamo discretamente, abbastanza per tirare avanti. Dopo l'accaduto, siamo rimasti tre mesi senza guadagnare quasi nulla, solo il necessario per sopravvivere. Poi abbiamo dovuto iniziare a pagare l'affitto. Il problema più grosso sono i bambini, fa male vedere un bambino che chiede l'elemosina. Degli amici, i parenti e i vicini ci hanno regalato una porta, un bancone, e ora mi guadagno da vivere vendendo da mangiare, snack e bibite. Lavoro 18 ore al giorno». 
Francisca non desiste e continua la sua lotta per ottenere un rimborso equo per l'attività perduta. Per la casa ha dovuto "accontentarsi" di una somma simbolica pari a poco più di 1300 euro che le ha offerto il governo: «Ho perso tutto, la casa, il lavoro, la fonte di reddito della mia famiglia. È andata peggio per chi viveva e lavorava nello stesso posto e non ha ricevuto il rimborso».

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