Brasile: un net oil exporter alternativo all’OPEC
Brasile: un net oil exporter alternativo all’OPEC
Le basi per il rilancio, ai margini della crisi economica globale
l cauto rallentamento della crisi economica sembra aver spinto i progetti brasiliani per costruire concretamente le opportunità per diventare un leader petrolifero mondiale. Le immense risorse che prospettavano, in teoria, il Brasile come un protagonista del mercato globale, sono diventate concretamente l’oggetto di politiche precise per concretizzare l’obiettivo si diventare un Paese esportatore. Le attuali direzioni assunte dal Brasile, sembrano porlo come alternativa concreta ai Paesi dell’OPEC come parziale fornitore di petrolio, mentre la Cina sembra aver già iniziato a cogliere questa prospettiva.
Marco Pedrazzini
Le basi per il rilancio, ai margini della crisi economica globale
Il Brasile è, attualmente, uno dei principali leader mondiali; un Paese di spicco fra le potenze economiche emergenti, insieme a Russia, India e Cina (i Paesi del BRIC); un interlocutore emergente a livello regionale per le relazioni con gli Stati Uniti, a discapito del Messico. L’importanza del Brasile si sostiene principalmente sulla solidità dell’espansione economica dell’ultimo decennio, sulle immense risorse naturali di cui dispone e che ha saputo strutturalmente sfruttare con politiche di lunga visione. Un caso emblematico è lo sfruttamento dell’etanolo negli ultimi venticinque anni e le prospettive, di crescita e di espansione, che ad oggi si prospettano per i prossimi vent’anni.
Il Brasile è soprattutto una potenza energetica: posizione che mira a consolidare nei prossimi anni nonché ad espandere quantitativamente e qualitativamente. Oltre alla diversificazione delle fonti energetiche, il Paese sembra puntare ancora sugli idrocarburi per questa leadership. Riferendoci al ranking energetico, il Paese è la nona economia mondiale, il decimo consumatore di energia e il quindicesimo produttore in assoluto. Negli ultimi dieci anni le sue riserve di petrolio sono aumentate di oltre il 40%, rispetto alla media mondiale ferma al 14%, per attestarsi a circa 12,18 miliardi di barili, con una prospettiva concreta di raggiungere i 18 miliardi di barili nei prossimi anni, quando le stime degli ultimi giacimenti scoperti saranno più dettagliate. La compagnia a partecipazione pubblica Petrobras agisce nazionalmente e in Paesi esteri, con una posizione di netta rilevanza tecnologica in attività esplorative, ma anche estrattive, di raffinazione e commercializzazione. Il mercato interno è inoltre aperto agli investitori esteri e circa cinquanta aziende multinazionali operano sul suo territorio.
Se la crisi economica mondiale ha ristretto le stime di crescita del Paese, andando a colpire le esportazioni, in dettaglio delle commodities, che hanno sostenuto il boom del recente passato; è altrettanto vero che attualmente il Brasile sta rilanciando la propria posizione emergente come potenza energetica globale, perseguendo una strategia ben precisa a livello globale. Tre sono le chiavi fondamentali per capire le mosse sulla scacchiera globale: il Brasile si presenta come alternativo all’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC); si pone come interlocutore di “peso” degli Stati Uniti, cui ha chiesto di rinunciare a velleità protezionistiche ma di rilanciare il Doha Round e il ruolo del WTO; persegue precise politiche individualistiche.
La politica delle mani libere e gli obiettivi individuali
All’inizio del mese di maggio, il Presidente Inacio Lula da Silva ha chiaramente negato l’interesse per un’eventuale entrata nell’OPEC, sottolineando come gli obiettivi del Brasile siano differenti. Tale posizione è sostanziabile con la scelta di rimanere liberi da qualsiasi vincolo o accordo con gli altri maggiori produttori mondiali di petrolio, per ragioni di obiettivi particolari ma anche per ragioni prettamente politiche, soprattutto in seno all’OPEC.
L’OPEC vive una spaccatura al suo interno: Russia (non membro ma osservatore presente alle riunioni), Venezuela e Iran costituiscono l’asse per la riduzione ulteriore della produzione, in modo da sostenere gli ingenti investimenti interni, puntando sostanzialmente sulle speculazioni; il pragmatismo dell’equilibrio è invece sostenuto dalla leadership saudita. Se sembra fondante considerare l’opzione moderata anche per il futuro, in modo da conciliare interessi dei produttori e quelli dei consumatori, e anche se sono stati scongiurati ulteriori tagli alla produzione, il Brasile sembra tenersi persistentemente alla larga da un circolo vizioso che potrebbe innestarsi sulla crisi mondiale. Gli analisti internazionali prospettano per i prossimi mesi un aumento costante ma progressivo delle commodities, quindi e soprattutto anche del prezzo del petrolio, poiché, a sua volta si prospetta un concreto rallentamento della crisi economica mondiale. Quindi, nei fatti, sembra concretizzarsi un aumento della domanda di petrolio, con un conseguente moderato aumento del suo prezzo; ma altrettanto concretamente il rischio di speculazioni e shock ridurrebbero nuovamente la domanda, inficiando i primi passi in avanti della ripresa.
Il Brasile, che punta molto sulle esportazioni di commodities, sembra aver deciso di non vincolare la propria ripresa economica a nessun vincolo internazionale, perseguendo quindi obiettivi diversi, ma che lo porteranno a diventare nei prossimi anni un net oil exporter. È vero che il Brasile dichiara di non essere interessato a diventare direttamente un Paese esportatore di petrolio, ma al tempo stesso non cela gli investimenti per la leadership nella raffinazione del greggio, nonché nella commercializzazione dei prodotti derivati dal petrolio, risultato della grande industria chimica brasiliana. Di fatto Brasilia sta pianificando la costruzione di terminali per la liquefazione del gas naturale, in modo da ampliare le proprie possibilità sulla piazza globale, mentre è cominciato lo sfruttamento dei nuovi giacimenti off shore. Da un punto di vista legislativo, il Presidente Lula presenterà una nuova legge per regolamentare proprio le trivellazioni di questi giacimenti. Se da un lato questa legge aumenterà il controllo dello Stato, tramite la creazione di una nuova compagnia petrolifera ad hoc, dall’altro lato tutte le concessioni rilasciate in passato (i cui maggiori detentori sono: Petrobras, Repsol YPS SA ed Exxon Mobil Corp.) saranno rispettate. Sembra in tal modo sufficientemente garantita l’apertura del mercato interno e, al contempo, delineato l’obiettivo statale di diventare non un semplice esportatore ma un protagonista del mercato globale.
Gli investimenti per il prossimo quinquennio e i legami con Pechino
Petrobras sarà la chiave per il progetto di diventare un esportatore diretto di petrolio, infatti, per il quinquennio 2009/2013 sono stati pianificati investimenti per 174 miliardi di dollari per aumentare l’attività estrattiva e di raffinazione, in modo da giungere nel breve periodo ad una produzione di 3,5 milioni di barili al giorno (si stima che la Petrobras giungerà a produrre oltre 5,5 milioni di barili al giorno entro il 2020). Nel dettaglio, l’obiettivo è quello di ricavare almeno 1,8 milioni di barili dai giacimenti pre-salt, procedendo quindi con lo sfruttamento delle riserve off shore nonostante la non certezza delle quotazioni future del greggio. Attualmente Petrobras ritiene sufficiente un prezzo di 45 dollari, ma più concretamente, i margini di sostenibilità si avvicinano alla quota di 60 dollari, dato che il guadagno netto deve subire un forte taglio a causa dei costi dovuti alla tecnologia necessaria per raggiungere il petrolio, posto fra i 5.000 e i 7.000 metri sotto il livello del mare. Tuttavia questa forbice sembra essere sufficientemente ristretta per la compagnia brasiliana, poiché non solo la posizione di leader globale nell’implementazione di tale tecnologia e le piattaforme in tutte le aree rilevanti del mondo possono garantire una buona assicurazione, ma anche i recenti accordi con la Cina, nonché le concrete prospettive future, sembrano poter dare sostegno a tale progetto.
Petrobras ha attualmente un accordo di fornitura, per un ammontare di 160.000 barili di petrolio al giorno, con la Sinopec (China Petroleum and Chemical Corporation) che è una delle maggiori compagnie petrolifere statali cinesi, ma tale accordo è stato ulteriormente rivisto alla fine del mese di maggio, durante la visita del presidente brasiliano. Tramite la China Development Bank, Pechino finanzierà Perobras con dieci miliardi di dollari, in cambio di un aumento delle forniture a 200.000 barili di petrolio al giorno per i prossimi dieci anni. In aggiunta, le due compagnie hanno siglato un memorandum of understanding per le future attività di esplorazione, raffinazione e di sviluppo dell’industria petrolchimica. Sebbene nessun accordo formale sia ancora stato firmato, sembra che Brasile e Cina possano suddividersi i rischi e le concessioni per alcuni giacimenti off shore brasiliani. Tali giacimenti in questione, secondo parziali conferme da parte dell’Amministratore Delegato di Petrobras, Almir Barbassa, sono di proprietà completa della Petrobras e si troverebbero nell’area settentrionale del Brasile, al largo degli Stati di Para e Maranhao; si tratterebbe quindi di giacimenti posti a circa 2.000 metri sotto il livello del mare. Indipendentemente dal fatto che non si tratta dei giacimenti richiedenti maggiori investimenti (a 6.000/7.000 metri sotto il livello del mare), tale accordo sembra far compiere un passo in avanti a Pechino, rispetto al generico interesse per le commodities sudamericane: sembra confermata la reputazione di affidabilità che la Cina ha rivolto in particolare al Brasile e concretamente pronta a giungere ad un punto d’incontro fra i reciproci interessi.
fonte:equilibri.net
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